alla
“Quercia
di
Mamre”

 

Un giorno, Abramo stava riposando
all’ombra della sua tenda,
presso le “querce di Mamre”,
nell’ora più calda.
Dio venne presso di lui.

Anche noi ti proponiamo una sosta
– forse pure tu sei nell’ora più calda della tua vita! –
una “quercia” sotto la quale sederci per incontrare Dio.

 

UNA REALTÀ INIMMAGINABILE
PIÙ SORPRENDENTE DI OGNI ATTESA

Erano pescatori di Galilea, gente concreta. Altro che visioni interiori.
Dopo quel che era successo sul Calvario, se ne erano tornati a casa, ben chiusi dentro «per timore dei giudei». Lui era morto davvero, e perciò realmente, per quei poveretti, era finito tutto. Ma quella domenica mattina davanti al sepolcro vuoto, qualcosa, in quella dolorosa ma realistica rassegnazione, si incrinò.
Tutto è ricominciato così. Quando i suoi, che lo avevano visto morto, con gli stessi sensi lo hanno visto e lo hanno toccato risorto.

Quando Maria Maddalena tornò dicendo che la pietra del sepolcro era stata ribaltata… due discepoli, Pietro e Giovanni, corsero al sepolcro per vedere cosa era successo. Giovanni, correndo più veloce, arrivò per primo, ma non entrò. Si limitò a sbirciare dalla porta i teli che erano ancora là. Poi arrivò Pietro, entrò per primo nel sepolcro, vide ciò che c’era. Giovanni entrò dietro di lui…
Pietro è colpito, quasi turbato da ciò che vede, ma rimane in una condizione di perplessità. In Giovanni, lo stupore è ancora più grande, perché in lui c’è una prima, embrionale intuizione del mistero della resurrezione.

Ogni volta che aveva accennato alla sua passione, Gesù aveva aggiunto che il terzo giorno il Figlio dell’uomo sarebbe risorto. Eppure, dopo la sua crocifissione nessuno ricordava queste parole. Molti non se ne ricorderanno neppure quando lo vedranno risorto. Giovanni stesso aveva udito più volte le parole di Gesù che annunciavano la resurrezione. Era stato, con Pietro e Giacomo, presente all’evento della trasfigurazione, quando Gesù si era raccomandato di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, «se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti». Loro avevano obbedito al comando, «domandandosi però cosa volesse dire risorgere dai morti» (Mc 9,9-10).
Quindi Giovanni avrebbe dovuto essere preparato ad accogliere il mistero della resurrezione. Eppure quelle parole gli ritornano alla memoria solo quando vede la sindone e il sudario rimasti intatti nel sepolcro dopo che Gesù ne è uscito vivo. L’inizio della sua adesione alla fede, come viene riportato nel testo evangelico, è causato da ciò che ha visto nel sepolcro. È suscitato da indizi esigui, ma reali, visibili.
In quella prima esperienza presso il sepolcro vuoto, Giovanni aveva avuto soltanto un’idea vaga e indiretta della resurrezione di Gesù Cristo. Constatando la sua assenza dal sepolcro, aveva forse intuito il modo soprannaturale in cui essa si era verificata. Ma solo le apparizioni di Gesù nei quaranta giorni che seguono, i contatti concreti col Risorto gli permettono di fondare con certezza la sua missione di testimone.
In quei loro incontri Gesù si manifesta per suscitare la fede, per procurare alla fede un fondamento oggettivo più evidente. Non esita a mostrare il suo corpo con insistenza, un corpo che porta ancora i segni della crocifissione. Rafforza il vedere per far sorgere il credere. Con il moltiplicarsi degli indizi, si passa da una prima intuizione al riconoscimento di una realtà inimmaginabile, di un fatto reale che si rivela più grande e sorprendente di ogni attesa.

Il punto di partenza del movimento della fede, a cominciare dagli indizi del sepolcro vuoto, è sempre una realtà visibile.
Questo fattore è importante, perché smentisce coloro che interpretano la fede nella resurrezione di Gesù Cristo come una mera convinzione intima.
Spazza via tutte quelle tesi idealiste secondo cui i discepoli si convinsero che Gesù era risorto, proiettando in questa autosuggestione i propri sentimenti soggettivi di amore verso il loro Maestro. Invece, è perché hanno visto il Signore risorto che hanno creduto. La fede nasce dal riconoscimento di realtà visibili. Non è un’opera mentale soggettiva che si sarebbe creata il proprio oggetto.

Sant’Agostino sottolinea come su questo aspetto il fatto cristiano sia esattamente l’opposto della dinamica del sentimento religioso che nasce dall’uomo, rappresentato dalla religione imperiale che divinizza i destinatari delle proprie devozioni: «Roma, siccome amava Romolo, lo credette Dio. La Chiesa, invece, siccome riconobbe che Gesù Cristo era Dio, lo amò».

J. Galot