In quel tempo, Gesù venne nella sua patria
e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga.
E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano:
«Da dove gli vengono queste cose?
E che sapienza è quella che gli è stata data?
E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?
Non è costui il falegname, il figlio di Maria,
il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?
E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».
Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro:
«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria,
tra i suoi parenti e in casa sua».
E lì non poteva compiere nessun prodigio,
ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
(cf. Gv 20,19-31)

 

Gesù è inviato dal Padre a manifestarlo, a insegnare la via che conduce a Lui. Lo fa con parole di autorità e con segni e prodigi che stupiscono e addirittura scandalizzano. Ha una missione da compiere ed è consapevole del suo compito di profeta, colui che parla a nome di Dio, che rivela il Suo progetto, che rende “viva” la Sua presenza in mezzo al popolo. Non è esente da rifiuti e da fallimenti, ma non smette di annunciare la Buona Notizia. Lo scopo non è di essere osannato, ma di essere creduto affinché il Padre sia conosciuto e accolto. Ciò che conta è “dire” il Padre.

La sua missione e il suo destino diventano la missione e il destino dei suoi discepoli. Sarà la consegna di Gesù dopo la sua risurrezione: «come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21).

Non importa la povertà del predicatore, la sua debolezza, conta la sua decisione di essere a servizio della Parola che ha ricevuto, conta la dedizione totale al Dio che ha incontrato. L’esperienza del limite, della povertà umana, non scandalizza Dio, anzi, diventa il luogo della Sua manifestazione. Se comprendiamo questa verità nella nostra vita, permettiamo a Lui di intervenire con la sua grazia fino a essere completamente permeati della vita divina, abitati dalla forza di Cristo al punto da dire con san Paolo: «non sono più io che vivo, Cristo vive in me».

Solo così si può diventare “segno” della Presenza di Dio tra gli uomini e le donne del nostro tempo.

È questo il grande annuncio cristiano, la testimonianza della misericordia di Dio sperimentata nelle nostre persone.

Il Mistero della Redenzione operata da Gesù ha sconfitto il male in modo che il peccato non rimane l’ultima parola sulla nostra vita. Proprio nel momento in cui viviamo resistenze e ribellioni, se sappiamo fidarci e stare davanti a Lui nella verità, la grazia può manifestare tutta la sua forza nella nostra debolezza.

Così la missione del Maestro si trasmette al discepolo. Senza la preoccupazione per il risultato, senza l’affanno di produrre un effetto nella vita degli altri. L’AT ci racconta come i profeti diventano loro stessi, nelle loro vicende personali (pensiamo a Ezechiele e Osea) simbolo dell’agire di Dio nella storia del popolo. Il profeta è colui che annuncia una Presenza a partire dalla propria esperienza.

In Gesù Dio si è rivelato come il Dio-con-noi, e dietro a Lui ciascuno di noi è chiamato a portare un po’ di profezia nel mondo imparando a riconoscere il passaggio di Dio nella propria esistenza e a lasciarsi coinvolgere nell’avventura di un Amore, di una Grazia, che si esprime pienamente là dove incontra una debolezza che si abbandona e si lascia, così, trasformare.